Castelli, Rocche e Luoghi Storici della Casata Tortora Brayda
Luoghi del Retaggio
Disseminati tra le colline assolate dell'Italia meridionale, incastonati in borghi medievali e affacciati su panorami costieri di straordinaria bellezza, si ergono i testimoni silenziosi della Casata Tortora Brayda: castelli, torri, conventi e roccaforti ancestrali che un tempo risuonavano dei passi di nobili, cavalieri, abati e ambasciatori. Questi luoghi non sono semplici reliquie di pietra e calce: sono cronache viventi di una famiglia la cui storia si è intrecciata con l'ascesa e il declino dei regni, con il mecenatismo delle arti e con la custodia del patrimonio locale.
Molte di queste antiche proprietà, un tempo private, sono oggi divenute musei, istituzioni culturali o monumenti nazionali tutelati, custodendo secoli di storia feudale, ecclesiastica e architettonica italiana.
In questa sezione vi invitiamo a scoprire una selezione curata dei luoghi più emblematici legati alla Casata Tortora Brayda—ciascuno dei quali rappresenta non solo un tributo a un passato illustre, ma anche un riflesso dell'identità e della bellezza senza tempo dell'Italia.

Castello di Moliterno
Moliterno, Basilicata, Italia
Il Dominio dei Brayda a Moliterno: dalle Origini Merovinge alla Nobiltà Angioina
Le origini di Moliterno, borgo fortificato in posizione elevata nella Basilicata, affondano nella più remota antichità. Le testimonianze archeologiche e la tradizione orale indicano un insediamento pre-romano. In seguito alla distruzione della vicina Grumentum durante le incursioni saracene tra l'872 e il 975 (secondo alcune fonti nel 1031), gli abitanti superstiti si radunarono attorno a un'antica torre situata nell'attuale Moliterno. I primi coloni longobardi, parte del Principato di Salerno, lasciarono tracce durature, promettendo di erigere una torre di vedetta quadrangolare per difendersi da nuove incursioni attraverso il passo di Castelsaraceno.
Nella seconda metà dell'XI secolo, Moliterno passò sotto dominio normanno. Dal 1059 al 1186, i Normanni costruirono il Castello di Moliterno e vi istituirono l'autorità feudale. Con il matrimonio di Costanza d'Altavilla, ultima erede normanna, con l'Imperatore Enrico VI, il feudo passò agli Svevi (Hohenstaufen). Sotto il regno di Federico II, è attestata la figura di Nicolau de Moliterno, uno dei primi signori feudali documentati, noto per aver incarcerato, su ordine imperiale, il barone Nicolattum de Cusano nel 1239.
Un mutamento decisivo nella politica dell'Italia meridionale avvenne con la sconfitta di Manfredi, figlio di Federico II, nella battaglia di Benevento (1266). Carlo I d'Angiò, sostenuto dalla Santa Sede, emerse vittorioso e instaurò il dominio angioino. Tra coloro che furono ricompensati per la lealtà e il valore militare vi fu Oddone (Oddo) Brayda, nobile di origine longobarda proveniente da Alba, in Piemonte. Il cognome della famiglia deriva dall'antico borgo di Brayda (oggi Bra). I Brayda rivendicano una discendenza ancora più antica: dagli antichi governatori merovingi della Provenza, regione che un tempo includeva parte del Piemonte, suggerendo un possibile legame consanguineo con la dinastia merovingia.
Oddone Brayda appare per la prima volta nelle fonti storiche nel 1259, come figura politica e militare di primo piano ad Alba. In quell'anno, la città lo inviò come plenipotenziario a Carlo d'Angiò, allora Conte di Provenza, per offrirgli la signoria sulla città — ponendo Alba sotto protezione angioina in cambio della liberazione dal dominio ghibellino di Asti. In riconoscimento del suo ruolo decisivo, Carlo d'Angiò esentò Oddone e la sua famiglia da diverse obbligazioni civiche, consolidando ulteriormente il suo potere.
Nel 1268, Oddone si distinse nella Battaglia di Tagliacozzo, contribuendo alla sconfitta di Corradino di Svevia, ultimo erede svevo. Come ricompensa, nel 1269 Carlo I emanò un diploma regio con cui gli conferiva il castello e il feudo di Moliterno: Castrum Moliterni cum hominibus et pertinentiis, torri et blandis contentis in eo. Questo atto segna formalmente l'inizio del dominio dei Brayda su Moliterno, che durerà oltre un secolo, dal 1268 al 1477.
Durante questo periodo, Moliterno fu spesso teatro di scontri violenti tra fazioni filo-angioine e fedeli agli Svevi, causando gravi perdite in vite umane e beni. Alla morte di Oddone, sua moglie, la Baronessa Odolina Aimone d'Aquino — sorella del poeta Rainaldo e nipote di San Tommaso d'Aquino — presentò una petizione a Carlo I chiedendo compensazioni. In risposta, le fu temporaneamente assegnato il controllo delle terre dei Sanseverino a Camerota, nel Cilento, a conferma della duratura fedeltà della famiglia Brayda.
Oddone e Odolina ebbero tre figli: Ruggiero, Margherita e Oddone II, quest'ultimo nato postumo e affidato alla tutela regia di Giovanni Bois. Odolina si risposò successivamente con Vinciguerra d'Aversa, notaio della Curia Reale, rafforzando l'inserimento della famiglia nel ceto aristocratico-giuridico del regno.
La famiglia Brayda mantenne la signoria feudale su Moliterno per 108 anni. Sul finire del XV secolo, con il passaggio del Regno di Napoli dal dominio angioino a quello aragonese, il Re Ferdinando I d'Aragona sfruttò i conflitti tra baronie locali per accrescere il controllo regio. Nel 1477, Ugo Brayda, discendente diretto di Oddone, cedette il feudo di Moliterno ad Antonio Sanseverino, Principe di Salerno, con il consenso del Re Ferdinando II d'Aragona, segnando così la fine del capitolo braydiano nella storia di Moliterno.
Oggi, il Castello di Moliterno si erge come potente simbolo di quel retaggio — testimone del passato turbolento del borgo, del valore militare della famiglia Brayda, e del loro ruolo nella definizione del panorama geopolitico dell'Italia meridionale.

Villa Tortora Brayda
Sant'Anastasia, Napoli, Italia
Situata ai piedi del Vesuvio, nel centro storico di Sant'Anastasia, la Villa Tortora Brayda e il suo parco circostante rappresentano una testimonianza viva di secoli di mecenatismo nobiliare, devozione religiosa e patrimonio architettonico. Adiacente alla villa si erge il Santuario della Madonna dell'Arco, uno dei più venerati santuari mariani dell'Italia meridionale, fondato nel 1593, celebre per le sue tradizioni miracolose e per il suo ruolo quale cuore spirituale del Monastero Domenicano di Sant'Anastasia. Da secoli, il santuario attira pellegrini da ogni parte della regione, la cui devozione è incentrata su un'immagine miracolosa della Vergine, ritenuta capace di lacrimare e sanguinare, conferendo al luogo un significato sacro duraturo.
La villa e i terreni annessi appartennero un tempo alla famiglia Muscettola, illustre casata nobiliare insignita dei titoli di Principi di Leporano, Patrizi di Ravello, Conti di Picerno e Duchi di Spezzano. La linea dei Muscettola si estinse con Donna Nicoletta Muscettola, ultima discendente del casato, che sposò Lorenzo Boccapianola, Patrizio di Napoli e di Bari, Pari del Regno e membro dei Duchi di Ripacandida. La loro figlia, Margherita Boccapianola, ereditò per intero il retaggio della sua stirpe e, unendosi in matrimonio con Carlo II Tortora Brayda, sancì l'unione di tre casate nobiliari: Tortora, Muscettola e Boccapianola. Il loro figlio, Francesco Tortora Brayda, portò avanti questa eredità composita, radicando la presenza familiare nella vita civica e religiosa della regione.
Oggi, la Villa Tortora Brayda e il suo parco sono tutelati dal Comune di Sant'Anastasia, che ha conservato la tenuta come spazio culturale pubblico. È attualmente in corso un importante progetto di restauro, finanziato con fondi destinati alla tutela del patrimonio e curato dall'acclamata Architetta Antonella Marciano, con l'obiettivo di restituire alla villa il suo originario splendore architettonico. Insieme al vicino Santuario della Madonna dell'Arco, la villa costituisce parte integrante di un paesaggio sacro e storico, in cui tradizione nobiliare e fede religiosa continuano a confluire, ai piedi del Vesuvio.

Castello di Arechi, Salerno
Salerno, Campania – Da Fortezza Romana a Cittadella Longobarda
Arroccato in posizione dominante sul Golfo di Salerno, il Castello di Arechi offre una delle vedute più strategiche e suggestive della costa tirrenica. La sua origine risale intorno al 550 d.C., durante le fasi finali della Guerra Gotica, quando i Bizantini edificarono la primitiva bastione romana come parte della loro campagna per la riconquista dell'Italia. L'impianto originario comprendeva una torre centrale monumentale, probabilmente alta cinque o sei piani, che dominava il paesaggio e assicurava il controllo sulle rotte costiere vitali.
Il castello assunse il nome attuale e la configurazione duratura nell'VIII secolo, quando il Principe Arechi II di Benevento, erede al trono longobardo, lo ampliò e fortificò in modo sostanziale. Il suo obiettivo era quello di fare di Salerno la nuova capitale politica e militare, proseguendo la tradizione del Ducato di Benevento, e di istituire una cittadella inespugnabile a presidio del nuovo centro del potere. Sotto la direzione di Arechi, il castello divenne una roccaforte difensiva imponente — simbolo della resilienza longobarda e dell'ambizione amministrativa del principato.
La fama di inespugnabilità del castello fu messa a dura prova nel 1077, durante l'assedio normanno guidato da Roberto il Guiscardo. Sebbene la fortezza riuscisse a resistere all'assalto iniziale, i Principi di Salerno, isolati e privi di approvvigionamenti, furono infine costretti alla resa. Questo evento segnò il declino dell'autonomia longobarda nella regione. Secondo la tradizione familiare, tale crollo avrebbe indotto un ramo della casa principesca di Salerno a fuggire verso sud, rifugiandosi a Blanda Julia un insediamento Romano poi eventualmente detto Tortora, in Calabria — una migrazione che avrebbe dato origine ai primordi della stirpe ancestrale della Casata Tortora Brayda. Secondo gli storici il nome cambiò per via delle Tortore che lo frequentarono, vedi cenno sottostante Palazzo Casapenna.
Oggi, il Castello di Arechi non è solo un simbolo del passato medievale di Salerno, ma anche un prestigioso sito culturale, che ospita un museo di manufatti medievali e offre viste panoramiche che richiamano alla memoria il ruolo cruciale che la fortezza ebbe nelle dinamiche geopolitiche dell'Italia meridionale.

Castello Longobardo di Laurino
Laurino, Provincia di Salerno, Italia
Giovanni di Lamberto, noto anche come Giovanni di Laurino, fu un nobile del X secolo di illustre lignaggio, discendente da linee di sangue carolingie e bavaresi. Figlio di Lamberto di Toscana, Giovanni deteneva il titolo di Conte di Laurino, roccaforte strategicamente posizionata nel territorio del Cilento, nell'Italia meridionale. Il suo governo segnò un'epoca di mecenatismo nobiliare, donazioni religiose e ricostruzione territoriale, in un periodo di instabilità successivo alle incursioni saracene.
Nell'anno 945 d.C., il Conte Giovanni effettuò una donazione di rilievo al Monastero di San Benedetto di Salerno, offrendo una foresta situata sul Monte Peloso e la Tenuta di Moriano, nei pressi dell'attuale Irsina, in provincia di Matera. Questo gesto non solo testimoniava la sua pietà religiosa, ma consolidava anche l'alleanza tra la nobiltà dell'Italia meridionale e le istituzioni monastiche, le quali svolgevano all'epoca un duplice ruolo: spirituale e politico.
In seguito alla seconda distruzione saracena di Laurino, avvenuta nel 988 d.C., la famiglia di Giovanni intraprese la ricostruzione della città, riaffermando la propria autorità e resilienza di fronte alle continue minacce esterne. Si ritiene che il Castello di Laurino sia stato eretto proprio in questo periodo — probabilmente nella prima metà del X secolo — quale sede fortificata della contea e bastione difensivo per l'intera regione circostante.
Oggi, le rovine del castello restano come testimonianza silenziosa del retaggio di una famiglia che riportò ordine in un'epoca di caos e lasciò un segno duraturo nella geografia territoriale ed ecclesiastica dell'Italia medievale meridionale.

Palazzo Casapesenna
Costruito sulle Rovine del Castello delle Tortore
Tortora, Calabria, Italia
Situato nel territorio dell'antica città romana di Blanda Julia, successivamente fortificata dai Bizantini, il sito divenne dominio longobardo quando i Giffoni (detti anche Jefuno), discendenti dei Principi di Salerno, abbandonarono Salerno e vi trovarono rifugio. Il primo Signore di Tortora fu Arnaldo Giffoni, figlio di Guamario (Waimar) e nipote di Guido, Duca di Sorrento.
Arnaldo ristrutturò l'antica fortificazione preesistente e vi edificò una nuova rocca. Questo castello, in seguito frequentato da numerose tortore (da cui il nome in italiano), venne conosciuto come il Castello delle Tortore. Da tale denominazione derivò sia il nome attuale del borgo, Tortora, sia il nostro cognome di famiglia.
Nel corso dei secoli, il castello cadde in rovina e fu sostituito da un palazzo signorile, costruito sopra le sue fondamenta. In seguito, nel 1824, durante il Regno Borbonico di Spagna, la proprietà fu acquisita dalla famiglia Vargas Machuca, Principi di Casapesenna. Il palazzo reca tuttora lo stemma degli ultimi occupanti nobiliari: i Principi di Casapesenna.
Da Blanda Julia a Tortora: una trasformazione storica
Il comune di Tortora, situato nella Calabria settentrionale, si erge su un palinsesto storico che risale all'età romana. Originariamente chiamata Blanda Julia, fu fondata alla fine del I secolo a.C. come municipium romano, probabilmente in onore di Giulio Cesare. Posta su un'altura costiera, la città svolgeva una funzione amministrativa per la Lucania e prosperò fino all'età bizantina, divenendo persino sede vescovile.
Con il declino dell'Impero Romano d'Occidente, la città fu fortificata dai Bizantini, ma successivamente cadde sotto il controllo longobardo come parte del Principato di Salerno. Le incursioni saracene del IX secolo portarono all'abbandono della città romana e alla fondazione, nell'entroterra, di un nuovo insediamento più difendibile chiamato Julitta, nucleo originario della moderna Tortora.
Nell'XI secolo, il territorio accolse una diramazione della famiglia principesca salernitana: i Giffoni, anche noti come Cifone. Arnaldo Giffoni, nipote del Duca Guido di Sorrento e figlio del Principe Guaimario, fu il primo Signore di Tortora. Egli ricostruì la vecchia fortificazione bizantina trasformandola in una rocca signorile. Secondo la tradizione, lo stormo di tortore che nidificava intorno al castello ispirò il soprannome "Castello delle Tortore", da cui derivò il nome attuale Tortora, adottato anche come cognome nobiliare.
Nei secoli successivi, il feudo di Tortora passò a diverse famiglie aristocratiche: Lauria, De Montibus, Martirano, Exarquez, Ravaschieri e Vitale. La fortezza rimase il centro del potere signorile fino al XIX secolo.
Nel 1824, durante il periodo borbonico, il feudo fu acquistato dai Vargas Machuca, Principi di Casapesenna. Sul sito ormai in rovina dell'antico castello, la famiglia fece erigere un palazzo nobiliare, inglobando parti delle strutture preesistenti. Lo stemma araldico dei Principi è ancora visibile sull'arco d'ingresso del palazzo.
Oggi Tortora conserva le tracce di ogni fase della sua storia: da colonia romana a rifugio longobardo, da roccaforte medievale a dimora principesca borbonica, ogni epoca ha contribuito a definire il suo retaggio culturale e l'identità storica della famiglia Tortora Brayda.

Castellammare di Stabia
(In seguito il primo Grand Hotel Quisisana)
Castellammare di Stabia, Campania – Italia
Lungo la strada costiera baciata dal sole che conduce a Sorrento, nella storica cittadina di Castellammare di Stabia, sorgeva un tempo il Casino Boccapianola—una villa neoclassica di grande eleganza nobiliare e ospitalità raffinata. Originariamente appartenente alla stimata famiglia Massamormile, antica dinastia napoletana, l'edificio passò successivamente alla famiglia Boccapianola, prima di entrare, alla fine del XIX secolo, nel patrimonio della famiglia Tortora Brayda, che lo incluse nel proprio ampio retaggio di residenze patrizie distribuite lungo la costa tirrenica.
La raffinatezza della villa e la sua posizione privilegiata attrassero ben presto l'attenzione anche al di fuori dei circoli aristocratici. Dopo la sua vendita da parte della famiglia, la proprietà fu trasformata nel primo Grand Hotel Quisisana, un raffinato albergo che avrebbe dettato il canone del lusso e della diplomazia mediterranea. Da esso trasse ispirazione il più celebre Grand Hotel Quisisana dell'Isola di Capri, oggi simbolo di opulenza e crocevia culturale internazionale.
Di particolare rilievo storico, la villa accolse anche l'Imperatrice Eugenia di Montijo, consorte spagnola di Napoleone III di Francia, durante il suo esilio. L'Imperatrice—Doña María Eugenia Ignacia Augustina de Palafox y Portocarrero, Contessa di Teba—vi trovò rifugio in un periodo di crepuscolo imperiale, portando con sé un'aura di grandezza, acume politico e malinconia dinastica. La sua presenza conferì alla residenza un'aura di prestigio e riserbo, consacrandola come luogo di rifugio per la nobiltà in declino.
Oggi, il lascito del Casino Boccapianola sopravvive come una nota discreta ma significativa negli annali della nobiltà europea, della diplomazia e dell'esilio—un luogo dove memoria dinastica e storia continentale si incontrarono silenziosamente sotto lo sguardo immutabile del Vesuvio e la luce dorata del Mediterraneo.

Castello Marchesale di Palmoli
Il Castello di Palmoli
Palmoli, Provincia di Chieti, Abruzzo – Italia
Il Castello di Palmoli, risalente all'XI secolo, sorge sul versante settentrionale dell'abitato, nella località detta Le Coste, a dominio della valle del fiume Treste. Da questa posizione strategica, il castello sorvegliava i fertili terreni e i numerosi mulini ad acqua lungo il corso del fiume, affacciandosi nel contempo sul Santuario di San Michele di Liscia. La struttura comprende una singolare torre a dodici lati, verosimilmente aggiunta nel XVI secolo, costruita attorno a una torre circolare preesistente, ancora visibile sulla sommità.
L'area, un tempo nota come Palmula Monteverde, ha origini antichissime. Intorno all'anno 1000 d.C., le popolazioni locali, per difendersi dalle incursioni barbariche, si rifugiarono sulle alture sovrastanti la valle del Treste. Fu lì che, nel 1095, Pandolfo di Sangro edificò il primo nucleo del castello, attorno al quale si sviluppò il centro abitato medievale. Nel XV secolo il castello fu riconquistato da Paolo di Sangro, mentre nel tardo XVIII secolo passò alla famiglia Severino-Longo, Marchesi di San Giuliano e Gagliati, e Baroni di Palmoli.
Il feudo fu trasmesso alla famiglia Tortora Brayda attraverso il matrimonio di Gian Lorenzo Tortora Brayda con Maria Severino Longo. La linea paterna di Maria vantava origini nobiliari romane, mentre la madre apparteneva alla celebre famiglia Carafa della Spina, tra le più antiche e illustri del patriziato napoletano.
Dal loro matrimonio nacque Camillo Tortora Brayda, Cavaliere di Malta e figura eminente della diplomazia internazionale, il quale vide la luce proprio nel Castello di Palmoli. Morì senza eredi, ma trasmise i titoli e la Capitaniaria della famiglia a Francesco Tortora Brayda, secondogenito di Carlo II Tortora Brayda, assicurando così la continuità dinastica.

Castello di Bruzzano
(Detto anche Castello d'Armenia)
Bruzzano Zeffirio, Provincia di Reggio Calabria – Calabria, Italia
Situato sulla sommità della Rocca Armenia, nel centro storico di Bruzzano Zeffirio, il Castello di Bruzzano—conosciuto anche come Castello d'Armenia—è un esempio emblematico delle fortificazioni medievali della Calabria. Originariamente concepito come struttura difensiva, il complesso includeva alloggi signorili, una cappella privata e robuste opere di fortificazione.
La costruzione ebbe inizio presumibilmente tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo. Nel 925 d.C., il sito fu occupato dai Saraceni come sede strategica. Tra il 1270 e il 1305 divenne feudo di Giovanni de Brayda, e nei secoli successivi fu possedimento delle illustri famiglie Ruffo, Carafa e Aragona. Il castello fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1783 e ulteriormente lesionato da quelli del 1905 e del 1908. Le numerose modifiche architettoniche intervenute dal Medioevo fino all'Ottocento testimoniano la continua stratificazione storica dell'edificio.
Giovanni de Brayda, Conte di Brayda, Ronsecco, Sanfrè e Piobesi, nacque nel 1240 d.C. da Oddone Brayda, esponente dell'antichissima casata nobiliare dei Brayda. Uomo di ingenti mezzi economici, Giovanni prestò denaro a Pietro de Vins, siniscalco dei re angioini, ottenendo in cambio il favore reale e l'assegnazione di diversi castelli, tra cui Sant'Albano, Bene, Cornegliano e Monforte.
Con l'ascesa al trono di Carlo d'Angiò, Giovanni si trasferì nel Regno di Sicilia, verosimilmente partecipando alla spedizione militare angioina. Fu nominato Capitano di Gaeta e, nell'agosto del 1267, Governatore della Calabria, in un momento critico segnato dalla ribellione anti-angioina scoppiata a seguito della notizia dell'imminente discesa in Italia di Corradino di Svevia. Giovanni guidò le operazioni militari contro i ribelli fino al 20 febbraio 1268, quando fu sostituito da Ponce de Blanquefort. Nel 1269 fu nominato Governatore delle Terre d'Otranto, importante base logistica per le spedizioni angioine verso l'Oriente.
A conclusione dell'incarico, ricevette in feudo la terra e il Castello di Bruzzano Vetere, sancendo l'insediamento della famiglia Brayda in Calabria. Morì nel 1309 nella città di Brayda, lasciando un'eredità di servizio militare, amministrazione territoriale e prestigio dinastico.

Castello di Mirafiori
Sommariva Perno, Provincia di Cuneo – Piemonte, Italia
Arroccato tra le colline assolate di Sommariva Perno, nel cuore della storica regione del Roero, il Castello di Mirafiori è testimone di quasi mille anni di potere feudale, successioni nobiliari e trasformazioni reali. Citato per la prima volta nel 1153 d.C. in una bolla di Papa Eugenio III, il castello fu concesso come feudo ai signori locali di Summaripa e servì inizialmente da baluardo difensivo in una zona di confine instabile, segnata da lotte comunali e rivalità dinastiche.
Intorno al 1270, la proprietà fu acquisita dalla famiglia Brayda, che vi lasciò un'impronta significativa, seppur di breve durata. Già nel 1282, il feudo passò agli Isnardi, potente casato originario del Contado Venassino, con ampie influenze ad Asti. L'ingresso degli Isnardi segnò un'epoca di consolidamento territoriale, tipica dell'intricato sistema di alleanze feudali del Piemonte medievale.
Nel primo Seicento, il castello divenne possedimento della famiglia Roero. Alla morte di Conreno Roero, nel 1623, il Duca Carlo Emanuele I di Savoia ne assorbì il dominio, elevandolo a marchesato di Mirafiori in favore della vedova, Caterina Asinari, sancendo così il legame duraturo tra il castello e la Casa Savoia.
Il periodo più prestigioso della storia del castello ebbe luogo nel XIX secolo, quando il Re Vittorio Emanuele II, primo sovrano del Regno d'Italia unificato, acquistò la tenuta e la donò alla sua amata moglie morganatica, Rosa Vercellana, Contessa di Mirafiori, affettuosamente ricordata come la "Bela Rosin". Sotto la sua cura, la dimora fu trasformata in rifugio reale e riserva di caccia privata, frequentata dal sovrano e dal suo entourage.
Oggi il castello è di proprietà privata, appartenente alla famiglia Gromis di Trana, e non è accessibile al pubblico. Tuttavia, il Castello di Mirafiori conserva la sua maestosa presenza, svettando sopra vigneti e boschi del Cuneese, silente custode della storia nobiliare e monarchica del Piemonte.

Castello di Corneliano d'Alba e la Torre Medioevale
Corneliano d'Alba, Provincia di Cuneo – Piemonte, Italia
Situato su un'altura che domina la città di Alba, il Castello di Corneliano d'Alba con la sua imponente torre medioevale rappresenta una delle più antiche e significative testimonianze dell'architettura fortificata piemontese del XII secolo. Secondo la tradizione locale, il castello disponeva originariamente di sette torri e di poderose mura difensive, erette secondo le più avanzate tecniche costruttive del tempo.
Nel XIII secolo, la famiglia Brayda acquisì rilievo politico e militare nella regione, in particolare grazie a Pietro de Brayda, fratello di Giovanni de Brayda. Nobile di grande influenza, Pietro sostenne Carlo d'Angiò, allora Conte di Provenza, nel suo insediamento ad Alba, facilitando così l'inizio della dominazione angioina nella regione. Da quel momento, i Brayda divennero alleati fedeli della corona angioina.
Tuttavia, nel 1276, durante l'insurrezione anti-angioina guidata dal Marchese Guglielmo VII del Monferrato, la famiglia Brayda—e in particolare la sua fazione armata nota come i Graffagnini—fu esiliata da Alba. Il 19 maggio 1278, Goffredo de Brayda, nipote di Pietro, fu costretto a cedere il Castello di Corneliano. Sebbene Carlo d'Angiò riuscì nel 1280 a negoziare formalmente la restituzione del castello, l'esilio della famiglia era ormai irreversibile.
Alla morte di suo fratello Giovanni nel 1279, Pietro si recò alla corte reale di Napoli con l'intento di promuovere una nuova campagna militare per la riconquista del Piemonte. Nonostante la perdita del Castello di Bruzzano Vetere, il re lo investì dei castelli di San Marco, Plancellario, Casalordo e Chiusano, nominandolo anche Governatore della Basilicata.
Nel 1281, guidò una spedizione nel nord Italia, ma il Marchese Tommaso I di Saluzzo lo sconfisse, conquistando i castelli di Corneliano e Pollenzo e segnando la perdita definitiva dei domini braydiani nel Piemonte.
Con la morte di Carlo I d'Angiò nel 1285, Pietro adottò una nuova strategia. In accordo con Carlo II d'Angiò, inviò il fratello Berardo a negoziare una tregua. Il 2 febbraio 1290 ebbero inizio i colloqui che portarono, il 30 giugno dello stesso anno, alla firma di un trattato di pace. L'accordo prevedeva il ritorno della famiglia Brayda nei propri territori, in cambio di sostegno militare e del pagamento delle imposte. Oltre al recupero di terre e castelli, i Brayda ottennero anche il Castello e la Villa di La Morra.
Nonostante le concessioni, Pietro de Brayda preferì rimanere a Napoli, al servizio della monarchia angioina, e continuò a ricoprire incarichi politici e militari fino alla sua morte, avvenuta nel 1309.

Palazzo Tortora
Pagani, Provincia di Napoli – Campania, Italia
Situato in via Marconi, nel centro storico di Pagani, il Palazzo Tortora rappresenta l'ultima residenza aristocratica rimasta in città ad essere ancora decorata da affreschi e pitture murali, testimonianza di un passato nobiliare di grande raffinatezza.
Originariamente parte del patrimonio immobiliare della famiglia Tortora, il palazzo rifletteva lo stile residenziale del patriziato meridionale, con proporzioni eleganti e dettagli decorativi di pregio. Sebbene oggi l'edificio sia stato riqualificato a uso residenziale privato, mantiene ancora lo stemma araldico originario della famiglia sopra l'arco centrale d'ingresso, discreto ma eloquente simbolo delle sue nobili origini.
Nonostante le trasformazioni moderne, il palazzo conserva un notevole valore culturale, custodendo la memoria della presenza sociale e artistica della casata Tortora nel tessuto urbano di Pagani.

Palazzo Tortora degli Scipioni
Pagani, Provincia di Napoli – Campania, Italia
Costruito nella seconda metà del XVII secolo dal Conte Palatino Carlo Pignataro, il Palazzo Tortora degli Scipioni rappresenta una testimonianza viva del retaggio architettonico e dinastico dell'aristocrazia meridionale. Situato in via Marconi, nel centro storico di Pagani, alle porte di Napoli, il palazzo incarna la raffinatezza della nobiltà campana.
La proprietà passò alla famiglia Tortora agli inizi dell'Ottocento, grazie al matrimonio tra Carmela Pignataro, discendente del Conte Carlo, e Scipione Tortora, unendo così due illustri casate locali. Da allora, la residenza divenne nota come Palazzo Tortora degli Scipioni, a testimonianza del legame tra eredità familiare e patrimonio territoriale.
Caratterizzato da una facciata in pietra lavica di piperno, balconi barocchi e un atrio voltato su cui campeggia lo stemma araldico di famiglia—una tartaruga su tre colli, simbolo di tenacia, stabilità e radicamento—il palazzo è una delle ultime dimore aristocratiche di Pagani a conservare affreschi originali risalenti al XVIII–XIX secolo.
Documentato per la prima volta in relazione alla famiglia Tortora attraverso archivi municipali e affreschi araldici, il palazzo fu in seguito suddiviso in abitazioni private, secondo una prassi diffusa che mira a coniugare l'uso moderno con la conservazione storica. Nonostante tali trasformazioni, il nucleo artistico e strutturale dell'edificio è rimasto intatto, offrendo uno sguardo raro sulla grandezza decadente della nobiltà meridionale.
Oggi, il Palazzo Tortora degli Scipioni si erge come un testimone silenzioso ma eloquente dell'eredità aristocratica della Campania, della sua identità culturale e della grazia duratura della sua architettura patrizia.

Palazzo Tortora
Salita Tarsia – Napoli, Campania, Italia
Il Palazzo Tortora di Napoli è una residenza monumentale nobiliare situata in Salita Tarsia, storica via di collegamento tra i Quartieri Spagnoli e le alture cittadine. Risalente al XVI secolo, il palazzo fu originariamente costruito in una zona rurale ai margini dell'antica Napoli. Con l'espansione urbana nei secoli successivi, l'edificio venne inglobato nel tessuto cittadino, conservando tuttavia la nobiltà architettonica e la spazialità tipiche delle dimore patrizie.
Nel XVIII secolo, il palazzo fu ristrutturato in stile barocco, seguendo il gusto dell'aristocrazia napoletana dell'epoca borbonica. La facciata e gli interni vennero arricchiti da elementi ornamentali, tra cui una volta d'ingresso che ancora oggi esibisce lo stemma araldico della famiglia Tortora—una tartaruga su tre colli, simbolo di permanenza, elevazione e identità territoriale.
All'interno si apre un cortile centrale incorniciato da ali nobiliari e un giardino privato, raro esempio della disposizione spaziale delle dimore rinascimentali e barocche a Napoli. Sebbene oggi sia di proprietà privata e raramente visitabile, il Palazzo Tortora resta una testimonianza significativa della storia architettonica e genealogica dell'aristocrazia napoletana.

Castello di Leporano (Castello Muscettola)
Torricella, Provincia di Taranto – Puglia, Italia
Situato sul punto più elevato della città di Leporano, il Castello di Leporano, noto anche come Castello Muscettola, rappresenta un imponente esempio di architettura militare feudale del Sud Italia. Costruito come fortezza difensiva, il castello domina il paesaggio ionico e la campagna pugliese circostante.
La parte più antica dell'edificio è la torre quadrata, risalente al periodo normanno–svevo, intorno all'anno 1300, probabilmente edificata durante il regno di Federico II. In epoche successive, la struttura venne ampliata per assumere le funzioni di residenza nobiliare, pur conservando il suo impianto militare originario.
Sebbene inizialmente appartenuto ad altri signori feudali, il castello raggiunse il suo massimo splendore sotto la famiglia Muscettola, nobile casata napoletana. Nel 1617, i Principi Muscettola fondarono al suo interno una chiesa privata, testimoniando l'integrazione tra potere spirituale e temporale tipica dell'epoca.
Il castello rimase proprietà della famiglia fino alla morte di Giovanni Battista Muscettola, settimo e ultimo Principe di Leporano, che morì senza eredi maschi. Suo fratello, Francesco Muscettola, fu padre di Nicoletta Muscettola, diretta antenata della famiglia Tortora Brayda, in cui scorre tuttora il sangue muscettoliano.
Con l'estinzione del ramo principesco, il castello fu infine ceduto al Comune, che lo ha destinato a sede di eventi culturali, mostre e cerimonie civiche, assicurando così la continuità della sua memoria storica e del suo valore come simbolo della cultura locale.

Castello di Pulsano
Pulsano, Provincia di Taranto – Puglia, Italia
Il Castello di Pulsano, situato nella cittadina costiera di Pulsano, nei pressi di Taranto, fu edificato intorno al 1430 d.C. come residenza fortificata per il Signore de Falconibus, nobile locale del tardo Medioevo pugliese. La struttura fu concepita per esercitare il controllo feudale sul territorio circostante e difendere le risorse agricole e marittime della zona.
Il 17 giugno 1617, il castello fu assegnato a Sergio Muscettola, che in quella data fu elevato al rango di Primo Principe di Leporano. Questo evento segnò l'integrazione formale di Pulsano nei possedimenti feudali della famiglia Muscettola, tra le più eminenti casate nobili del Regno di Napoli.
Nel tempo, i Principi Muscettola trasferirono la loro sede principale nel vicino Castello di Leporano, dove istituirono una cappella privata e stabilirono la loro corte dinastica. Il castello di Pulsano, pur rimanendo parte del patrimonio familiare, divenne progressivamente una residenza secondaria rispetto a quella di Leporano.
La famiglia Muscettola mantenne i titoli e i domini fino alla morte di Giovanni Battista Muscettola, settimo e ultimo Principe di Leporano, che morì senza eredi. Suo fratello, Francesco Muscettola, padre di Nicoletta Muscettola, diretta antenata della famiglia Tortora Brayda, assicurò la continuità del sangue muscettoliano, che oggi sopravvive nella linea Tortora Brayda.

Palazzo Marchesale di San Giuliano (Severino Longo)
San Giuliano del Sannio, Provincia di Campobasso – Molise, Italia
Il Palazzo Marchesale di San Giuliano, noto anche come Palazzo Severino Longo, sorge nel centro storico di San Giuliano del Sannio e fu edificato nel XVII secolo sopra i resti di un antico castello medievale. La torre, visibile sul lato destro dell'edificio, è un elemento superstite della fortificazione originaria ed è stata ricostruita nel 1902 su ordine del Marchese Gian Lorenzo Tortora Brayda, sotto la direzione del restauratore Luigi Rucci, al quale si deve riconoscenza per il suo impegno.
Il palazzo entrò a far parte del patrimonio della famiglia Tortora Brayda grazie al matrimonio tra Gian Lorenzo Tortora Brayda e Maria Severino Longo, il cui casato paterno affondava le radici nella nobiltà romana antica, mentre la linea materna apparteneva all'illustre famiglia Carafa della Spina, una delle più prestigiose del patriziato napoletano.
In questo palazzo nacque il loro unico figlio, Camillo Tortora Brayda, Cavaliere di Malta e figura di rilievo nella carriera diplomatica. Camillo morì senza discendenza diretta, ma trasmise i titoli e la Capitaniaria di famiglia a suo cugino, Francesco Tortora Brayda, secondogenito di Carlo II Tortora Brayda, assicurando così la continuità del retaggio familiare.
Oggi, il Palazzo Marchesale rimane un nobile testimone delle storie intrecciate delle famiglie Severino Longo, Carafa e Tortora Brayda—simbolo di una nobiltà duratura, radicata nella terra del Molise.

Palazzo Ducale di Fratta Piccola
Provincia: Napoli
Città: Frattaminore, via Roma
Il Palazzo Ducale di Frattapiccola è un complesso quadrangolare a tre piani sviluppato attorno a un cortile centrale. Costruito in epoca medievale, rappresenta un esempio significativo dell'evoluzione architettonica delle residenze feudali nell'Italia meridionale.
Il piano terra, nella configurazione originaria, era destinato a scuderie e magazzini, a servizio delle funzioni logistiche del castello. Con il passare dei secoli, questi ambienti furono progressivamente trasformati in alloggi abitabili, adattandosi alle mutate esigenze della vita aristocratica.
All'interno del palazzo vi era una cappella privata, anch'essa collocata al piano terra. In tempi recenti, per motivi funzionali, l'altare è stato rimosso e trasferito nella Chiesa di Santa Annunziata, in Piazza Crispi, dove tuttora viene utilizzato per le celebrazioni religiose, custodendo la memoria spirituale del palazzo.
Frattapiccola, con il suo antico fossato e castello, fu un feudo dal XIII secolo. Nel 1750, il castello e la giurisdizione sulla cittadina, compresa Frattapiccola, passarono alla famiglia Carafa, Conti di Policastro.
In seguito, il titolo e le proprietà furono ereditati da Gian Lorenzo Tortora Brayda, Conte di Policastro, e successivamente da Francesco Tortora Brayda di Belvedere (1853–1930), garantendo così la continuità del governo nobiliare attraverso la casata Tortora Brayda. Il palazzo resta oggi una testimonianza viva della storia feudale, della successione aristocratica e dell'adattamento architettonico della nobiltà campana.

Castello di Taranto
Taranto, Puglia. Italy.
Il Castello di Taranto, noto anche come Castel Sant'Angelo, si erge come un imponente palinsesto architettonico di quasi tremila anni di storia. Situato su una depressione rocciosa all'estremità della città vecchia di Taranto, l'imponente fortezza poggia su stratificazioni successive di epoca greca (IV–III secolo a.C.), bizantina, normanna, sveva, angioina e aragonese. Sebbene la maggior parte dei visitatori contemporanei incontri la sua veste aragonese—fortificata nel tardo Quattrocento per resistere all'artiglieria—il nucleo medievale del castello conserva l'impronta di una figura cruciale della storia del Mezzogiorno: Oddone de Brayda.
Nato nella prima metà del XIII secolo in una potente famiglia nobiliare di Alba, in Piemonte, Oddone de Brayda fu un protagonista fondamentale della consolidazione politica del Regno di Napoli sotto la dinastia angioina. La prima menzione storica risale al 1259, quando fu scelto dal Consiglio Generale di Alba—allora dominato dalla fazione dei Brayda—per recarsi alla corte di Carlo d'Angiò, Conte di Provenza, e offrirgli la signoria sulla città. Questo gesto aprì la strada all'espansione angioina nella penisola italiana.
Oddone si distinse nella Battaglia di Tagliacozzo del 1268, dove le forze angioine sconfissero Corradino di Svevia, ultimo erede della dinastia sveva. In ricompensa, il re Carlo I d'Angiò gli concesse nel 1269 il feudo e il castello di Moliterno, precedentemente appartenenti a un ribelle svevo—dando così origine al dominio dei Brayda in Basilicata, che durò oltre un secolo.
Nel 1275, Oddone fu nominato Castellano di Taranto, una delle cariche strategicamente più rilevanti del Regno. All'epoca, il castello versava in condizioni di degrado, residuo delle precedenti fortificazioni bizantine e sveve. Durante la sua amministrazione, il castello fu ampiamente restaurato e trasformato in una solida roccaforte medievale, dotata di torri e sistemi difensivi potenziati, adeguati al contesto militare tardo-medievale. Oddone mantenne l'incarico fino alla sua morte, avvenuta agli inizi del 1280.
Nel 1273, sposò Odolina Aimone d'Aquino, sorella del poeta Rainaldo d'Aquino e nipote di San Tommaso d'Aquino, unendo così la casata Brayda a una delle famiglie più prestigiose e influenti del Regno. Dal matrimonio nacquero tre figli: Ruggiero, Margherita e Oddone II, quest'ultimo nato postumo. Il re Carlo affidò la tutela del bambino a Giovanni di Bois, gesto che rifletteva la stima e la fiducia riservata ai Brayda. In seguito, Odolina si risposò con Vinciguerra d'Aversa, notaio della Curia Reale.
Nei secoli successivi, il castello subì profonde trasformazioni, in particolare tra il 1487 e il 1492, quando re Ferdinando I d'Aragona ne commissionò la completa ricostruzione, forse su progetto di Francesco di Giorgio Martini. Tuttavia, l'epoca di Oddone rappresenta una svolta epocale: il castello non fu solo rafforzato dal punto di vista militare, ma divenne anche fulcro politico durante la fragile fase di stabilizzazione angioina nel Mezzogiorno.
La ricostruzione aragonese introdusse un impianto a forma di scorpione, con cinque torri circolari—Sant'Angelo, San Lorenzo, San Cristoforo, Annunziata e Bandiera—e mura perimetrali in grado di resistere al fuoco dei cannoni. Successivamente modificato in epoca spagnola e adibito a caserma e carcere, il nucleo medievale riconducibile a Oddone rimane strutturalmente e storicamente fondamentale.
Dal 1883, il Castello di Taranto è sotto la tutela della Marina Militare Italiana, che dal 2003 ha avviato un vasto progetto di restauro e recupero archeologico per riportare alla luce la planimetria aragonese e le stratificazioni più antiche. In collaborazione con l'Università di Bari, sono stati rinvenuti reperti greci, bizantini, normanni, svevi e angioini, confermando il valore del castello come fortezza militare e testimonianza dinastica.
In sintesi, il governo di Oddone de Brayda su Moliterno e Taranto—caratterizzato da meriti militari, alleanze nobiliari e una visione architettonica duratura—consolida il suo ruolo di figura chiave nella trasformazione angioina del Mezzogiorno d'Italia. La sua eredità sopravvive scolpita nelle pietre della cittadella di Taranto, che ancora oggi racconta secoli di storia.

Villa Rufolo
Ravello, Italy.
Situata nel cuore medievale di Ravello, affacciata sulla splendida Costiera Amalfitana, Villa Rufolo è un gioiello di architettura moresco-gotica, la cui storia stratificata si estende dai fasti mercantili del XIII secolo sino alla nobiltà del primo periodo moderno del Regno di Napoli. Costruita originariamente dalla facoltosa e cosmopolita famiglia Rufolo, la villa passò successivamente a importanti casate nobiliari, tra cui i Confalone, i d'Afflitto, e in modo particolare i Muscettola, Principi di Leporano, Patrizi di Ravello e Duchi di Spezzano.
Sotto il dominio dei Muscettola, la villa fu trasformata da fortilizio medievale in una raffinata dimora aristocratica. Le sue logge panoramiche, i giardini terrazzati e l'impianto architettonico monumentale divennero simboli di vita colta e prestigiosa lungo la Costiera.
La linea dinastica dei Muscettola, attraverso la sua ultima erede, Donna Nicoletta Muscettola, si unisce direttamente alla Casa Tortora Brayda. Il matrimonio di Nicoletta con Lorenzo Boccapianola, Patrizio di Napoli e Bari e Pari del Regno, sancì l'unione con la famiglia Boccapianola. La loro figlia, Margherita Boccapianola, ultima del suo nome, andò in sposa a Carlo II Tortora Brayda, fondendo così tre casate illustri—Muscettola, Boccapianola e Tortora—in un'unica e nobile stirpe.
Questa unione non trasmise soltanto il sangue, ma anche diritti simbolici e legami araldici a proprietà storiche come Villa Rufolo, oggi celebrata non solo per la sua architettura ma anche per il suo significato genealogico all'interno della nobiltà italiana. Pur essendo oggi di proprietà comunale e aperta al pubblico, la villa rimane profondamente legata alla narrazione ancestrale della famiglia Tortora Brayda.