Fondo e Archivio Storico
Convalida
Questo è un atto ufficiale di conferma e riconoscimento del titolo nobiliare di Marchese, conferito a Francesco Tortora Brayda di Belvedere da Sua Maestà Umberto II, Re d'Italia. Emanato durante il periodo dell'esilio della monarchia, il documento convalida il diritto ereditario di Francesco a portare il titolo di Marchese e ne autorizza la trasmissione per primogenitura maschile. Il decreto reale afferma inoltre il diritto della famiglia all'uso del proprio stemma araldico, specificandone blasonatura, motto e distinzioni araldiche applicabili tanto ai discendenti maschi quanto a quelli femmine.
Questo insieme di Lettere Patenti comprende:
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La concessione formale del titolo di Marchese.
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La registrazione ufficiale in ambito araldico.
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L'autorizzazione all'uso del titolo e dello stemma da parte delle generazioni future.
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La firma autografa di Sua Maestà Umberto II, nonché quelle del Ministro della Real Casa e del Segretario per l'Araldica, Giovanni di Giura.



"Fortiter in re, suaviter in modo"
La Bolla Papale e l'Affiliazione Nobiliare: Connessioni tra i Tortora Brayda, i Pignatelli e i Conti
Riconoscimento Ecclesiastico e Privilegio Nobiliare
Tra i tesori archivistici della Casa dei Tortora Brayda si annovera una bolla papale che concede l'assoluzione perpetua e il diritto di celebrare la Santa Messa all'interno della residenza familiare—un privilegio raro e solenne, storicamente riservato a famiglie di riconosciuto rango spirituale e sociale. Questo documento riflette non solo l'intimità della famiglia con la Chiesa, ma anche la sua piena integrazione nei più alti livelli della nobiltà italiana e vaticana tra il XVII e il XVIII secolo.
Fonti interne alla famiglia e un estratto degli Archivi Segreti Vaticani attribuiscono l'emissione del documento a Papa Innocenzo XIII (Michelangelo dei Conti, pontefice dal 1721 al 1724), come gesto verso la famiglia del predecessore Papa Pignatelli (Innocenzo XII Antonio Pignatelli, pontefice dal 1691 al 1700), entrambi appartenenti a casate nobiliari intrecciate con la Chiesa e, in diversi momenti storici, con la famiglia Tortora Brayda.
Sulle Connessioni Familiari: Pignatelli, Conti e Tortora Brayda
La Linea dei Pignatelli
La Casata Pignatelli fu un'illustre famiglia nobiliare napoletana, con rami insigniti del titolo di Principi del Sacro Romano Impero e profondamente coinvolti negli affari ecclesiastici. Il membro più eminente fu Papa Innocenzo XII (Antonio Pignatelli), appartenente a questa casata. La famiglia Pignatelli fu nota per le sue alleanze matrimoniali con altre casate di grande prestigio, tra cui i Carafa, i Sanseverino e gli Orsini—tutti nomi che compaiono nelle reti matrimoniali estese della famiglia Tortora Brayda.
L'ultima unione documentata è quella che riguarda la bisnonna di Margherita Boccapianola, moglie di Nicola Sergio Muscettola, Principe di Leporano: si tratta di Camilla Pignatelli (n. 1747), appartenente al ramo dei Principi di Marsico Nuovo, e madre di Francesco I Tortora Brayda.
I Conti di Poli e Papa Innocenzo XIII
La famiglia Conti, da cui discese Papa Innocenzo XIII, fu tra le più grandi casate nobili romane, e diede i natali a numerosi papi—tra cui Innocenzo III, Gregorio IX e Alessandro IV. Esiste una connessione matrimoniale diretta tra i Conti e i Tortora Brayda, e le due famiglie operarono negli stessi ambienti diplomatici e religiosi nel periodo di massima influenza papale. I legami storici dei Conti con l'Ordine di Malta, cui appartennero anche i Tortora Brayda, consolidano ulteriormente tale prossimità.
La Linea dei Tortora Brayda
La Casa dei Tortora Brayda, di discendenza longobarda e franca, è ampiamente documentata nei registri nobiliari italiani, con titoli quali Marchesi di Belvedere, Duchi della Chiusa e Baroni di Tortora. La nobiltà della famiglia fu formalmente riconosciuta dall'Imperatore Carlo VI nel 1713 e successivamente dal Regno d'Italia nel 1900. La storica appartenenza all'Ordine di Malta—spesso legata a privilegi papali—offre ulteriore contesto alla concessione di un documento ecclesiastico così singolare.
Interpretazione del Significato della Bolla Papale
Questa bolla papale, che conferisce l'assoluzione perpetua e il diritto liturgico domestico, è emblematica della distinzione spirituale della famiglia e della fiducia ecclesiastica nei suoi confronti. Sebbene tali bolle spesso avessero un valore cerimoniale più che giuridico, esse rappresentavano un segno potentissimo di status nobiliare, favore pontificio e rettitudine morale. Non venivano concesse con leggerezza, ma conferite solo a famiglie di provata pietà, lealtà e obbligo nobiliare verso la Chiesa e la società.
La bolla resta un profondo richiamo alla statura storica della famiglia—nobile, devota e attivamente impegnata nella vita pubblica. Essa rafforza il retaggio della casa come custode di tradizione, cultura e buon governo morale.
Conclusione: Un Retaggio Vivente
Il possesso di una bolla papale di tale gravità attesta il prestigio morale e spirituale della Casa dei Tortora Brayda nel quadro storico della nobiltà cattolica. Essa richiama le generazioni future a preservare e onorare questo patrimonio, non solo come fatto di linea di sangue, ma come incarnazione di valori che continuano a guidare la missione globale della famiglia.
Ultime Volontà Testamentarie del 1325
Composto durante il periodo della dominazione angioina nel Regno di Napoli, questo testamento riflette gli usi giuridici della successione feudale, della primogenitura e dell'obbligo devozionale, tipici della nobiltà dell'Italia meridionale nel XIV secolo. Le donne di nascita nobile, come Policane de Alneto, miglie di Ruggero Brayda, esercitavano un ruolo di rilievo nella gestione del patrimonio familiare ed erano determinanti nella conservazione delle eredità dinastiche, sia attraverso la distribuzione dei beni, sia tramite lasciti spirituali.
La famiglia Brajda (in seguito Brayda) appare in questo contesto come titolare di vasti possedimenti e con una presenza significativa nella vita ecclesiastica del Regno, con rami impegnati nel servizio militare, nelle unioni aristocratiche e nella vita religiosa. Il testamento evidenzia inoltre i legami stretti della famiglia con importanti istituzioni e casate napoletane, quali i Pignatelli, i Cantelma e i Tomaselli—a testimonianza della rete di alleanze che ha sostenuto l'influenza feudale della famiglia attraverso le generazioni.



Testamento della Nobile Policane de Alneto (1325)
Tipo di Documento: Testamento notarile – Copia autenticata (manoscritto, quattro fogli)
Data dell'originale: 1325
Luogo di origine: Napoli
Richiedente della copia autenticata: Il Reverendo Oddone (Odnodum) de Brajda
Questo manoscritto costituisce una fedele trascrizione del XIV secolo del testamento originale di Policane de Alneto, nobile napoletana e vedova di Ruggero de Brajda, cavaliere del Castro di Moliterno, insediamento fortificato di rilievo strategico nell'alta Lucania. La copia, datata 1325, fu autenticata dal notaio e giudice regio Angelo Gambatella, alla presenza di uno scriba e di testimoni, su richiesta formale del figlio della testatrice, il reverendo Oddone de Brajda.
Il documento offre un vivido spaccato della vita feudale e della continuità dinastica nell'Italia meridionale del primo Trecento, durante la dominazione angioina sul Regno di Napoli. Esso riflette la ricchezza materiale e le articolate reti sociali di una famiglia nobile ben radicata nelle strutture civili, ecclesiastiche e militari dell'epoca.
Policane de Alneto dispone dei suoi beni con grande attenzione alla gerarchia familiare, alla memoria spirituale e agli obblighi di carità:
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L'intero patrimonio, comprensivo di terre e possessi feudali, è affidato ai figli Oddone e Corrado de Brajda, e ai nipoti Ruggerello e Giovannino de Brajda, figli del defunto Nicola de Brajda.
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Richiede di essere sepolta accanto al marito Ruggero nella Chiesa di San Domenico a Napoli, luogo prediletto per le sepolture nobiliari dell'aristocrazia partenopea.
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Dispone lasciti in once d'oro alle figlie:
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Donna Rita de Brajda, moglie di Don Giacobbe Tomaselli di Napoli (3 once più altre 4 per l'estinzione di un debito).
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Donna Berarda de Brajda, moglie di Don Pietro Minutili (3 once).
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Donna Caterina de Brajda, monaca presso il Monastero di Santa Maria Domina Romita a Napoli (3 once).
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Lasciti religiosi vanno a:
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La sorella Donna Fiole de Alneto, anch'essa monaca nello stesso monastero (2 once).
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La nipote Donna Clara Pignatelli, monaca a Santa Maria Domina Romita (2 once).
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Proprietà condivise in Villa Afragola e Ponticelli sono affidate in gestione alla madre degli eredi Pignatelli, in attesa della maggiore età degli stessi.
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Altri legati minori includono:
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Donna Antonella Cantelma, moglie di Oddone de Brajda (2 once).
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Donna Lauretta Extendardo (1 oncia) e sua figlia Donna Rengella Caracciola (1 oncia).
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Don Pietro Extendardo di Napoli, nipote (1 oncia), e sua figlia Donna Cubella (1 oncia, da custodire fino al matrimonio).
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Consistenti donazioni religiose sono destinate a istituzioni ecclesiastiche, tra cui:
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L'Ospedale di Santa Maria Annunziata
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La Chiesa di Santa Maria Maggiore
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I Monasteri di San Marcellino, San Romolo e San Gregorio
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Le Chiese di Santa Maria Nova e Santa Maria del Carmelo
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Infine, stabilisce fondi per la celebrazione regolare di Messe in suffragio delle anime dei genitori, del marito e di sé stessa.
Gli archivi della famiglia Tortora Brayda custodiscono documenti rari e di grande valore appartenenti al casato dei Carafa della Spina, conservati attraverso una legittima successione dinastica. Tale trasmissione avvenne per mezzo di Francesco Tortora Brayda, il quale ereditò la linea salica principale della famiglia dopo la morte del fratello maggiore, Gian Lorenzo Tortora Brayda (n. 19 luglio 1847). L'unico figlio maschio di Gian Lorenzo, Camillo, morì senza eredi, facendo così ricadere la linea primaria della casata su Francesco.
Elemento determinante di questa eredità fu il matrimonio di Gian Lorenzo con Maria Concetta Severino Longo, patrizia napoletana e figlia di Maddalena Carafa della Spina, che apportò alla famiglia un legame diretto con una delle casate più illustri del Mezzogiorno d'Italia, rinomata per i suoi stretti rapporti con la Santa Sede e per aver dato i natali a numerosi alti ecclesiastici, tra cui cardinali.
Va rilevato che l'unico titolo non trasmesso attraverso questa linea legittima fu quello di Marchese di Gagliati, che, per concessione sovrana di S.M. il Re Umberto II, fu invece attribuito a un discendente adottivo—nello specifico, il figlio di Amalia Arlotta, figlia di Margherita, a sua volta figlia di Gian Lorenzo. Il titolo fu conferito a un certo signor Coletti, persona priva di legami di sangue con la famiglia originaria.
Sebbene formalmente autorizzata, questa atipica elevazione sembra essere stata una soluzione dettata da motivazioni di prestigio sociale, finalizzata a valorizzare una parte esterna piuttosto che a preservare la continuità ereditaria della casata Tortora Brayda. Per tale motivo, essa rappresenta una nota a margine di rilevanza genealogica limitata, priva di effetti sulla trasmissione legittima del patrimonio storico e archivistico della famiglia.
Decreto dell'Imperatore Carlo V, 1544

Questo manoscritto, datato 1544 e redatto in latino su pergamena, registra un'ufficiale conferma da parte dell'Imperatore Carlo V (Carlo Quinto) di un reddito annuo di 400 ducati e dei relativi diritti feudali concessi a Giovanni Carrafa (Joannem Carrafam). Il documento rappresenta un riconoscimento giuridico dei privilegi ereditari e colloca la stirpe dei Carrafa all'interno del più ampio contesto del favore imperiale sotto il dominio degli Asburgo. Tali conferme non erano semplicemente di natura economica, ma simboleggiavano fiducia politica e lealtà, rafforzando il prestigio della famiglia nell'ambito della gerarchia nobiliare del Sacro Romano Impero nel XVI secolo.

Il documento è in condizioni eccellenti, sebbene la calligrafia—realizzata in una densa scrittura cancelleresca tipica dell'epoca—risulti particolarmente difficile da decifrare. Si raccomanda un'analisi paleografica completa per poter estrarre tutte le sfumature giuridiche e i riferimenti storici contenuti nel testo. Questo raro e prestigioso manufatto rappresenta un momento significativo nella storia documentata della famiglia, collegandola direttamente all'autorità imperiale di uno dei sovrani più potenti della storia europea.
Decreto di Re Ferdinando d'Aragona (Ferdinando II di Napoli) – Anno 1506

Questo prezioso documento, redatto su pergamena e in lingua latina, rappresenta un decreto ufficiale emesso da Re Ferdinando II di Napoli, appartenente alla Casa d'Aragona. Il decreto riconosce diritti feudali, beni patrimoniali e prerogative ereditarie in favore di un membro della nobiltà meridionale—probabilmente appartenente a una delle famiglie alleate della Corona aragonese nel Regno di Napoli.
La natura del provvedimento si inquadra nel più ampio processo di consolidamento monarchico operato dai sovrani aragonesi nel Sud Italia tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, volto a rafforzare la fedeltà dei baroni locali attraverso concessioni giuridiche, fiscali e simboliche. Tali decreti costituivano strumenti formali con cui la monarchia riconosceva, premiava o confermava la lealtà di lignaggi strategicamente rilevanti per l'equilibrio politico del Regno.
Il decreto del 1506, in particolare, testimonia non solo la trasmissione di privilegi feudali ma anche la continuità dinastica riconosciuta dal potere regio, rafforzando la posizione della famiglia destinataria nell'ambito dell'aristocrazia napoletana. La presenza del sigillo reale e delle formule solenni di promulgazione tipiche della cancelleria aragonese conferisce al documento piena validità giuridica e importanza storica.
Un'analisi paleografica e diplomatica più approfondita potrà contribuire a chiarire i dettagli del beneficiario, le specifiche concessioni, nonché il contesto politico preciso in cui il decreto fu emesso, potenzialmente in seguito alla morte di Ferdinando il Cattolico e durante il periodo di transizione del potere tra Spagna e Napoli.

Questo documento rappresenta quindi una pietra miliare nella memoria storica della famiglia e nel legame diretto con l'autorità regia aragonese, in un momento di profondo riassetto geopolitico nell'Italia meridionale. Se desideri, posso anche redigerne una versione in inglese.
Questo manoscritto, datato 31 maggio 1506 e redatto in latino, registra la concessione reale di un reddito annuo di 200 ducati insieme a pieni diritti feudali sul territorio di Policastro, assegnati a Joannem Carrafam (Giovanni Carafa). In particolare, il documento formalizza l'attribuzione dell'illustre e ambito titolo di Conte di Policastro, una distinzione concessa raramente e simbolo di eccezionale favore da parte della Corona.
Il decreto fu emesso come segno di riconoscenza da parte di Re Ferdinando d'Aragona (Ferdinando II di Napoli) per l'eminente servizio militare reso da Carafa, in particolare per il suo ruolo nella conquista della Sicilia e nella difesa del Regno dalle minacce delle forze francesi. I diritti e il titolo furono conferiti non solo a Giovanni Carafa, ma anche estesi in perpetuum ai suoi discendenti legittimi, giungendo fino all'attuale Capo della Casa, Carlo Tortora Brayda.
Il documento è conservato in condizioni eccellenti e possiede un valore storico straordinario. Come evidenziato dalla Dott.ssa Ferrara, curatrice della collezione, un dettaglio eccezionale emerge nella parte finale del manoscritto: il re vi ha apposto personalmente il proprio simbolo di autorità, accompagnato dalle parole "mea propria manu"—un gesto raro che indica come il documento sia stato firmato di sua mano.
Questa eccezionale forma di autenticazione diretta da parte del sovrano sottolinea non solo l'importanza personale della concessione, ma anche l'altissima considerazione di cui godeva Giovanni Carafa. L'atto testimonia l'intreccio profondo tra fedeltà dinastica, valore militare e consolidamento del potere spagnolo nell'Italia meridionale, e sancisce l'ascesa della famiglia Carafa nei più alti ranghi della nobiltà.

Decreto Reale
Emesso da Sua Maestà Carlo, Re delle Due Sicilie – 9 Maggio 1754

Emesso da Sua Maestà Carlo, Re delle Due Sicilie – 9 Maggio 1754
Carlo, per grazia di Dio Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma e Piacenza, e Gran Principe Ereditario d'Etruria, al nostro amato e leale suddito Michele Brayda estendiamo la nostra regale grazia e favore.
Considerando che la nostra generosità regale è spesso stata rivolta a coloro che, per merito proprio, si sono distinti al servizio della Corona, è ancor più giusto e doveroso che simili onori siano conferiti a coloro che, oltre agli splendidi atti dei loro antenati, hanno dimostrato incrollabile fedeltà alla nostra persona e alla stabilità dei nostri regni—specialmente in tempi di incertezza e pericolo.
Tu, Michele Brayda, hai umilmente presentato petizione attestando che il tuo antenato Ettore Brayda deteneva, già due secoli or sono, le terre e la piena giurisdizione del Feudo di Policastro, che la tua famiglia ha costantemente occupato con onore, esercitando pubbliche funzioni e stringendo illustri alleanze. In riconoscimento di questa antica nobiltà e della tua personale fedeltà—verificata dalla nostra Reale Camera di Santa Chiara—siamo lieti di rispondere con favore.
Pertanto, noi, in virtù della nostra autorità sovrana, creiamo e confermiamo te, Michele Brayda, e i tuoi legittimi eredi e successori di entrambi i sessi in perpetuo, nella dignità e nel titolo nobiliare di Marchese sopra detto feudo e su tutte le terre attualmente detenute o legalmente da acquisire. Tale titolo ti conferisce pieni diritti, onori e privilegi pari a quelli goduti dagli altri Marchesi del nostro Regno di Sicilia, inclusa la partecipazione ad assemblee, corti e consigli nobiliari.
Inoltre ordiniamo a tutti i nostri ministri, giudici, notai, cancellieri, baroni, marchesi e ufficiali presenti e futuri dei nostri stati reali di riconoscere e rispettare questa concessione, di appellarti come Marchese, e di garantire il mantenimento delle dignità e immunità qui sancite.
Per suggellare il nostro favore speciale, abbiamo personalmente firmato questo decreto di nostra propria mano, come indicato dall'iscrizione mea propria manu.
Dato nella nostra Reale Villa di Ercolano, il giorno nove del mese di maggio, nell'anno del Signore 1754.
Carlo
Rex

Carolus, Dei gratia Rex Utriusque Siciliae, Hierosolymae, Infans Hispaniarum, Dux Parmae et Placentiae, Magnus Hereditarius Princeps Etruriae, dilecto fideli nostro Michaeli Brayda gratiam nostram regiam et benevolentiam impertimus.
Cum regia nostra liberalitas plerumque iisdem contulerit qui propriis meritis enituerunt in obsequio Coronae, multo magis congruum est ut iis beneficentiae nostrae effectus tribuantur, qui praeter maiorum illustrium merita singularem erga nos fidem, etiam temporibus incertis, constanter exhibuerunt.
Supplicavit quidem Michael Brayda, ex antiqua domo orta, cuius praedecessor Hector Brayda iam abhinc ducentos annos feudum et iurisdictiones Policastro obtinuit, familia in nobilitate stabilita, officiis publicis clarens, nuptiis splendidis sociata. His perspectis, et ex testimonio Camerae Regiae Sanctae Clarae, fidem tuam et antiquitatem generis recognovimus.
Itaque te, Michaelem Brayda, heredesque ac successores tuos utriusque sexus in perpetuum, titulo et dignitate Marchionis super feudum Policastro, cum terris iam possessis vel in posterum legitime acquirendis, creamus et confirmamus. Privilegiis, honoribus, immunitatibusque, ceteris Marchionibus Regni Siciliae consuetis, frui liceat, in conventibus, tribunalibus, consiliis nobilibus omnibusque publicis actibus aequo iure participes futuros.
Praecipimus igitur cunctis officialibus nostris praesentibus et futuris, iudicibus, notariis, cancellariis, baronibus, marchionibus, et magistratibus, ut te Michaelem Brayda Marchionem recognoscant, honores observant, et omnia huius diplomatis statuta impleant.
Ad maiorem gratiam nostram testandam, praesens diploma manu nostra propria subscripsimus, ut ex verbis mea propria manu apparet.
Datum in Villa Regia Herculanensi, die nona mensis Maii, anno Domini MDCCLIV.
Carolus
Rex
Riconoscimenti di Predicati Italiani e di Titoli Nobiliari Pontifici nella Repubblica Italiana
La pubblicazione "Riconoscimenti di Predicati Italiani e di Titoli Nobiliari Pontifici nella Repubblica Italiana," curata da Valter Pagnotta sotto la direzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, rappresenta un meticoloso lavoro archivistico volto a documentare il riconoscimento dei titoli nobiliari e dei predicati associati nel contesto repubblicano moderno italiano.
L'opera si colloca nel quadro giuridico e amministrativo delineato dall'articolo XIV delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione Italiana del 1948, che ha dichiarato i titoli nobiliari non più riconosciuti in Italia, mentre i predicati esistenti prima del 28 ottobre 1922 devono essere considerati come parte del cognome. Questa misura costituzionale ha posto fine al riconoscimento ufficiale della nobiltà, abolendo le procedure amministrative che venivano gestite dalla Consulta Araldica, un'istituzione istituita nel 1869 per fornire pareri al governo in materia di titoli nobiliari e araldica. Sebbene la Consulta Araldica non sia stata formalmente abolita subito, i suoi archivi furono trasferiti nel 1959 all'Archivio Centrale dello Stato, mentre un Ufficio Araldico è stato mantenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l'unico compito di concedere emblemi a enti come comuni e corpi militari.
Storicamente, nel Regno d'Italia, i titoli nobiliari rientravano in due categorie: quelli concessi con decreto reale (di grazia) e quelli riconosciuti amministrativamente (di giustizia). I primi comprendevano concessioni, rinnovazioni di titoli estinti nella stessa linea familiare, convalide e titoli stranieri adottati in Italia; i secondi riguardavano il riconoscimento formale dello stato nobiliare o l'autorizzazione per stranieri a utilizzare titoli nobiliari italiani.
Il regio decreto del 1889 affidò alla Consulta Araldica il compito di predisporre registri completi delle famiglie in legittimo possesso di titoli, partendo da elenchi parziali e regionali. Tali elenchi includevano famiglie italiane con titoli riconosciuti, famiglie straniere con titoli italiani legittimi e quelle registrate nei repertori nobiliari degli stati preunitari. Le commissioni regionali — spesso non uniformi nei metodi — compilarono questi elenchi basandosi su documentazione d'archivio e sulle domande degli interessati.
Il risultato finale di questo lavoro furono gli Elenchi ufficiali della nobiltà italiana del 1922 e del 1933, successivamente integrati nel 1936. Questi elenchi comprendevano solo i titoli ufficialmente riconosciuti con decreto e registrati nel Libro d'oro della nobiltà italiana. I titoli non riconosciuti o privi di prove documentarie furono esclusi dalle successive edizioni.
Le ordinanze sullo stato nobiliare del 1929 e del 1943 ribadirono che i titoli non riconosciuti non sarebbero stati inclusi negli aggiornamenti futuri. Dopo la fine della monarchia, emersero controversie legali sul valore dei titoli di lungo corso ma mai riconosciuti, in particolare per quelli oltre la data limite del 31 dicembre 1932. La sentenza della Corte Costituzionale del 1967 pose fine alla registrazione amministrativa dei titoli nobiliari, confermando che i predicati nobiliari non potevano essere formalmente riconosciuti o iscritti nei registri statali se non erano stati riconosciuti prima della fondazione della Repubblica.
Tuttavia, i titoli conferiti dal Papato (titoli pontifici) sono trattati diversamente. In base ai Patti Lateranensi del 1929 (e alla loro revisione nel 1986), l'Italia ha accettato di riconoscere tali titoli, anche se concessi dopo il 1870, equiparandoli ai titoli stranieri autorizzati per l'uso in Italia. Tale eccezione riguarda solo i titoli pontifici, non quelli conferiti da altre autorità sovrane o le rivendicazioni aristocratiche interne successive al 1922.
Il lavoro di Pagnotta si concentra pertanto su due categorie di titoli ancora rilevanti per finalità documentarie e genealogiche: i titoli nobiliari italiani con predicato esistenti prima del 1922 e i titoli pontifici riconosciuti dal Concordato. La pubblicazione raccoglie i dati archivistici delle famiglie che hanno ottenuto il riconoscimento formale di questi titoli, riportando le date di concessione e i nomi dei destinatari. Nonostante restino lacune, soprattutto per quanto riguarda alcune origini e prove documentarie, questo repertorio costituisce una preziosa risorsa storica per ricostruire la continuità e lo status giuridico dei titoli nobiliari nella Repubblica Italiana.
Documenti d'Archivio Non Tradotti
Benvenuti nella Fotogalleria dei Documenti d'Archivio Non Tradotti — una selezione curata delle straordinarie collezioni della Casa Tortora Brayda. Questa galleria offre un'anteprima di un vastissimo archivio familiare, meticolosamente conservato, che abbraccia oltre 700 anni di storia dell'Europa meridionale. I documenti originali qui presentati, ancora in latino non tradotto, includono decreti regi, concessioni feudali, sentenze legali, privilegi ecclesiastici e corrispondenza cancelleresca — testimonianza di secoli di impegno attivo nella vita civica, militare e nobiliare del mondo mediterraneo.
I documenti esposti costituiscono solo una minima parte di una raccolta ben più ampia, composta da centinaia di manoscritti su pergamena, molti dei quali risalgono alle dinastie angioina, aragonese e borbonica. Il lavoro di catalogazione, conservazione e traduzione di questo imponente corpus è in corso e culminerà nella realizzazione di un archivio digitale accessibile a ricercatori, accademici e storici specializzati nel Medioevo e nella prima età moderna.
Tra i nostri beni più preziosi figurano copie notarili autenticate di documenti originariamente provenienti dalla sezione angioina dell'Archivio di Stato di Napoli — molti dei quali non esistono più in nessun altro luogo. Questi documenti sono di eccezionale valore storico, poiché rappresentano alcune delle uniche copie sopravvissute di registri distrutti durante l'incendio del 1943 presso l'Archivio di Stato di Napoli.
In uno dei più gravi disastri archivistici del XX secolo, le truppe tedesche, durante la ritirata da Napoli nella Seconda Guerra Mondiale, incendiarono deliberatamente Villa Montesano a San Paolo Belsito, dove erano stati trasferiti i documenti più preziosi per motivi di sicurezza. Questo atto causò la perdita di decine di migliaia di pergamene e volumi, inclusi i registri cancellereschi dell'epoca angioina (1265–1435), il Catalogus Baronum, e innumerevoli atti feudali del Regno di Napoli, della Casa di Barcellona e dell'Ordine di Malta.
Il fatto che l'Archivio Tortora Brayda conservi copie fedeli e notarizzate di alcuni di questi documenti perduti è di valore inestimabile per la comunità accademica internazionale. Tali materiali sono custoditi con la massima cura e verranno presto resi disponibili per la consultazione attraverso canali controllati, contribuendo alla ricostruzione della storia giuridica e dinastica del Mediterraneo e dell'Europa.
Vi invitiamo a esplorare questa galleria non solo come finestra sul passato della nostra famiglia, ma come risorsa per il recupero di storie che si credevano perdute per sempre.